martedì 28 aprile 2009

Avellino/3

Spiace citarsi addosso, però le impressioni che avevo avuto su Avellino (primo e secondo post) forse non erano così fuori luogo.


Vediamo infatti cosa scrive Basketground:


Warren ha le valigie pronte. E mezza Avellino neanche si allena


L’agenzia di Chris Warren annuncia che il giocatore della Air Avellino è pronto a lasciare l’Irpinia per il ritardo di due mesi nel pagamento degli stipendi. Il club campano, a quanto risulta a Basketground, motiva le lamentele del giocatore con un presunto mancato accordo per lasciarlo finire la stagione altrove. Intanto però nel pomeriggio di lunedì ad Avellino erano solo in cinque ad allenarsi (Crosariol, Best, Lisicky, Diener e Cinciarini).


Non è la prima volta che succede, alla Air, così come più di una volta i giocatori hanno minacciato di non scendere neanche in campo visti i ritardi nei pagamenti che si protraggono ormai da mesi. L’ultima mensilità riscossa sarebbe quella di gennaio.


Negli ambienti del basket se ne parla ormai da molte settimane, ma Chris Warren è il primo a uscire allo scoperto con le dichiarazioni della sua agenzia, la Higher Vision Sports, a talkbasket.net: "Warren sta facendo i bagagli e sta preparando una lettera all’associazione italiana giocatori  dopo aver aspettato per due mesi di essere pagato".


"Avellino è in debito con tutti i giocatori per oltre un milione di dollari - svela l’agenzia -. Gli Ercolino sono entrati in spogliatoio con fare drammatico prima di una partita da vincere a tutti i costi due settimane fa e hanno promesso ai giocatori che avrebbero avuto tutti i soldi e hanno dato ai giocatori assegni che non hanno potuto riscuotere. Le banche hanno dichiarato che non ci sono soldi sul conto di Ercolino".


La cosa più triste della vicenda è che, comunque finisca, la vicenda Warren è solo la punta di un iceberg talmente grande che da settimane, da quando è andata delineandosi la portata, mette seriamente in dubbio la sopravvivenza del club irpino  a problemi finanziario di questo tipo.


 

martedì 21 aprile 2009

New York

Non avrei mai pensato di vedere così tanta gente giocare a calcio alla Mecca del basket. Ma mai avrei pensato di andare a The Cage e trovarlo vuoto. O di vedere un sacco di gente tirare calci a un pallone nel bel mezzo di Central Park. Il Garden, dunque. La passione è tanta. Ultima di regular season, contro i Nets. Due squadre che non hanno obiettivi, tant’è che riposano pure Harris e Carter.
Nonostante questo, biglietti esauriti, e a parte qualche abbonato a casa devo dire che il palazzo era pieno. Il Garden profuma di storia, e arrivare qualche minuto prima può permetterti di scendere al livello del parquet.

La partita è una merda di quelle che raramente si vedono. A metà del primo quarto David Lee, gasato dalla mia presenza con la sua canotta, è già a 8+8. Le percentuali dei Nets ricordano quelle del Partito Democratico, solo Lopez e Douglas Roberts fanno vedere qualcosa di interessante. Il cinese è un dramma. I Knicks controllano senza troppi problemi. In tutto questo gli americani pensano essenzialmente ad abboffarsi, anche a costo di perdersi un po’ di partita. Nell’ultimo quarto, puro garbage, i settori più costosi si sono già svuotati.

Però l’anima di New York restano sempre i playground. Come detto, una prima sortita a The Cage si era rivelata un buco nell’acqua. Ci riproviamo di sabato pomeriggio, nel dopo pranzo, con condizioni climatiche migliori. E facciamo centro. Ovviamente, non è nostra intenzione giocare. Resto convinto che il vero spettacolo non è in campo, ma attorno. Una combriccola di black people totalmente variegata, c’è la black mama che ha portato il figlioletto a vedere papà giocare, la biondina che ammira il fidanzato, l’amico con la fiaschetta di whiskey… poi ci sono i papponi, la vecchia gloria che dispensa consigli e incoraggia i giocatori. tra l’altro tra una partita e l’altra si mette anche a tiracchiare. non gliene ho visto sbagliare uno.

Il criterio di selezione non mi è risultato chiarissimo. La squadra vincente ovviamente resta in campo, ma dice la sua nella squadra che poi va ad affrontare. Tutti neri, c’è un bianco che si limita a qualche tiro nelle pause, così come un paio di latinos. E’ consentito mettersi a tirare nel canestro della squadra che sta attaccando, facendo attenzione a eventuali capovolgimenti di fronte.

Il gioco… a The Cage il campo è stretto, quindi dicono sia difficile giocare. Più che grandi talenti, si vede un gioco molto duro e fisico. Il rasta con la bandana ha menato mazzate come un fabbro per ore su ogni palla vagante. Tanto trash talking, che ovviamente resta una delle cose più divertenti se hai la fortuna di capirlo.