martedì 14 giugno 2011

Beatiful losers? Non più

Incredulità. Gioia. E il desiderio di rivivere questi giorni, la sensazione che - anche se dovesse ripetersi in futuro - non sarà mai la stessa cosa. Perché il primo titolo è qualcosa di speciale, perché aspettavo questo momento da quando ho iniziato a seguire la NBA. Perché sono passati cinque anni da quel maledetto, ma oggi benedetto, 2006. Perché sono passati quattro anni da quel 2007, poco citato in questi giorni, ma probabilmente ancora più determinante nell'indirizzare il destino verso quanto successo la scorsa notte a Miami.

Le tipiche facce di chi ha appena capito di essere diventato campione Nba

Degli sconfitti oggi parlano tutti, ne parleremo anche noi, ma scusate se mi concentro un po' sui miei Mavs. Perché può sembrare quasi che con i Lakers abbiamo vinto perché a L.A. erano stanchi e appagati, con i Thunder perché Westbrook è una capra, con gli Heat perché hanno smesso loro di giocare - puntualmente - ad ogni quarto quarto.
Invece mai come questa volta si tratta di una vittoria di squadra. Ho letto che ha vinto la pallacanestro. Può essere, io non arriverei ad essere così drastico. Perché la pallacanestro difensiva giocata da Miami è stata a lungo una grande pallacanestro. Ma quella dei Mavs è stata globalmente stata superiore.

                                                                           The Coach
Sicurezza! Jim Carrey ha rubato il trofeo!
E qui veniamo a Rick Carlisle, il Jim Carrey dei coach, uno dei tanti che si è preso una bella rivincita. Tanto che sul palco tratteneva a fatica le lacrime. Insieme al suo staff ha orchestrato un piccolo capolavoro. Innanzitutto sotto l'aspetto mentale, riuscendo a trasformare una squadra di fantomatici perdentoni in una macchina di vincenti da quarto quarto. Non può essere un caso se i Mavs in queste settimane, dopo aver subito la resurrezione di Brandon Roy, abbiano messo in fila una serie di rimonte, alcune delle quali entrate - per la loro proporzione - nella storia dei playoffs e delle Finals. Lakers, Thunder, Heat: ognuna di queste squadre ha dovuto almeno una grande rimonta.
C'è poi l'aspetto tecnico.
Difensivamente, pur disponendo di buoni ed anche buonissimi difensori (Chandler, Marion, Stevenson) è stato necessario creare un sistema che mascherasse le lacune dei vari Nowitzki, Terry e Barea. La difesa a zona, di quelle che raramente si vedono tra i pro americani (chiedere a Rasheed), è stata fondamentale, soprattutto quando è stato necessario preservare i lunghi dai falli in gara-6. I Mavericks non hanno le qualità tecniche e atletiche per difendere come Miami o Chicago, non hanno il sistema di Thibodeau che tanto bene ha fatto a Celtics o Bulls. Hanno però nel loro carniere 15/20 minuti di ottima difesa a partita. Sono stati eccezionali nel riuscire ad usarli nei momenti giusti. Per chi segue i Mavs, la difesa di Dallas di questi playoff non è certo una sorpresa. Ne parlammo parecchi mesi fa... Quello che però era difficile aspettarsi, era riuscire a vedere un Jason Kidd di nuovo così determinante difensivamente. Due anni fa Chris Paul - certo, non il primo venuto - lo massacrò, fece di lui quel che voleva. Due anni dopo, con 38 primavere sulle spalle, il più grande giocatore della storia dei Nets è passato in poche settimane dal marcare (e contenere in maniera adeguata) Bryant e Westbrook a Wade e LeBron. Ha contenuto in post Kobe, ha mandato fuori giri lo scudiero di Durant, ha negato ogni ricezione in gara-4 a colui che nel 2006 aveva massacrato i Mavericks, escludendolo di fatto dai minuti finali.
Ma, ovviamente, i Mavs hanno vinto la serie offensivamente. Un attacco basato sulla ricerca ossessiva del migliore tiro disponibile e dell'extrapass. "Dallas sta vincendo perché sta prendendo i tiri che deve prendersi, Miami no", ha detto Buffa in cronaca. Certo, avere due play occulti in campo, tra cui uno che dall'alto dei 2.13 ha una visuale ottimale per scegliere dove scaricare, aiuta. Ma raramente ho visto i miei Mavericks giocare così bene in attacco, senza forzare, facendo quasi sempre la scelta migliore.
Un sistema che ha permesso ai Mavs di andare a vincere un titolo nonostante gran parte della stagione sia trascorsa senza Caron Butler, secondo violino ideale per levare un po' di pressione al tedesco. Senza Beaubois, ancora acerbo ma uno dei pochi in grado di crearsi un tiro da solo. Senza Haywood nelle ultime tre partite, lasciando il peso delle rotazioni a onesti mestieranti come Cardinal e Mahinmi. Senza Stojakovic in final... ah no, Peja c'era.
E la grandezza del sistema forse sta proprio in questo, nel perdere pezzi e avere una risposta pronta da chi in teoria non avrebbe neanche il diritto di cittadinanza in una Finale Nba.


"Bill, ti rendi conto che ho dovuto giocare per anni con Dampier?"
The MVP
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l'Ubermensch, Dirk Nowitzki. Ora, permetterete un minimo di commozione, perché è vero che chi scrive ha iniziato ad appassionarsi all'NBA con Magic, Jordan e Barkley. Ma è anche vero che la prima vera passione per un giocatore "contemporaneo" è arrivata con questo pennellone, quando era magro da fare impressione e giocava ala piccola. Capirete che il sottoscritto ha distrutto i coglioni ad una comitiva di sette persone, durante un interrail tedesco del 2002, costringendo gli sventurati eroi ad andare in giro - anziché a vedere castelli, cercare figa, bere birra - per negozi sportivi, alla disperata ricerca di una canotta dei Mavs trovata solamente nella penultima tappa, in uno sperduto negozietto di Heidelberg.
Capirete quindi che vederlo scappare negli spogliatoi due secondi prima della fine di gara-6 rappresenti per chi scrive un momento di una commozione straordinaria. Cercando di abbandonare i sentimentalismi, la grandezza di Nowitzki è stata quella di saper crescere anno dopo anno, aggiungendo nuovi elementi al suo gioco e diventando il tiratore più immarcabile della storia del basket. Credete sia un'esagerazione? Non so, al di là del seguente video.


Fatto sta che la crescita di Dirk è stata soprattutto nelle letture di gioco. Ha saputo rispondere alle difese, ha saputo imparare dagli errori che gli sono costati un anello. Ha incassato le critiche, si è preso le responsabilità delle sconfitte, ci ha sempre messo la faccia. Ha rinnovato con la squadra che lo ha lanciato, la sua squadra. Si è messo in palestra, ha continuato ossessivamente nella sua ricerca della perfezione. Fino a qualche anno fa lo si poteva cercare di contenere con un marcatore più piccolo. Adesso non più. 
Più di dieci punti di media nei soli quarti quarti, solo Shaq e Jordan (due volte) hanno fatto meglio di lui. Clutch è sempre stato clutch, molti lo scoprono solo ora. L'impressione - ma sarò di parte - è che questi molti lo hanno sottovalutato. Dopo la finale, Spoelstra ha parlato di lui come "uno dei più forti giocatori di ogni epoca". Da studio, Buffa ha replicato "facile dirlo ora". E' il problema della mentalità della vittoria obbligata, per la quale la tua grandezza si vede dal numero di anelli. Non è un discorso che mi fa impazzire.

Losers?
Non mi fa impazzire perché è lo stesso discorso che ha portato a definire un altro giocatore, Jason Terry, un perdente per tutti questi anni, da quando fece ballare il ferro nelle Finals 2006. E trovo ridicolo pensare che fosse un perdente fino a gara-3, dopo una serie iniziata malissimo, e poi si sia miracolosamente trasformato in vincente dopo aver anche annunciato a LeBron che non sarebbe riuscito più a contenerlo. Detto fatto, una gara-6 fenomenale, e un tatuaggio fatto a inizio stagione che non andrà rimosso.

Campioni Nba, grandi prestazioni nel contract year
e una fidanzata modella: voi non ridereste?
C'è poi l'MVP morale di questi playoff. Quello che gli stessi tifosi Mavs (me compreso) non apprezzavano in fondo. Alto 175cm, portoricano, con un'elevazione "orizzontale", impegnato con un gran bel donnino (Zuleyka Rivera, googlate), Jose Juan Barea ha fatto a fette le difese Nba con la sua velocità, le sue penetrazioni, la sua faccia tosta. Per 15 minuti a partita i campioni Nba sono la sua squadra: fa e disfa, batte Fisher sul primo passo, evita la stoppata di Ibaka, appoggia a tabellone infilando Bosh. Dopo la serie con i Lakers - terminata con il tentato omicidio da parte di Bynum - ho pensato che avesse fatto quello che doveva fare, colpire nel punto debole della difesa gialloviola, incapace di contenere PG scattanti. "Con i Thunder la pacchia è finita". Niente di più sbagliato, e ancora via a a infilarsi in una difesa diventata improvvisamente di burro.
"Ok, ora arrivano gli Heat, tutt'altra difesa, tornerà il solito JJ". Per qualche gara è stato effettivamente così. Poi Carlisle lo ha messo in quintetto, estromettendo di fatto Bibby dalla serie e permettendogli di giostrare a piacimento.

Barea è un istintivo. Kidd è un istintivo riflessivo. E' uno che vive di istinti, ma ha una concezione del gioco così alta che sa cosa il suo istinto lo porterà a fare. E sarà la cosa giusta per la squadra. "Siamo una squadra di veterani guidata da un fossile", ha detto Nowitzki. Il fossile ha fatto vedere che le gambe magari reggono meno, ma la testa ti può far vincere le partite. In questi playoff lo hanno continuato a battezzare da 3, dimenticandosi che non è più il Kidd dal 30% scarso dall'arco. Certo, quest'anno c'è stato un calo (dal 42 al 34%), ma stiamo parlando del terzo giocatore per triple segnate nella storia dell'Nba. Se poi volete vedere qualcuno dominare una partita senza segnare neanche un canestro, recuperate gara-4.

Brick by brick
"Everything in its right place", cantavano i Radiohead. Così è stato per Dallas: ogni cosa al suo posto. E così anche "The Custodian", Brian Cardinal, ha vissuto momenti di grande impatto nelle Finals. Un paio di triple, qualche sfondamento subito, falli duri (MOLTO DURI). Ma forse il momento più bello è stato quando l'intera difesa di Miami ha deciso di collassare su una sua PENETRAZIONE lasciando libero sull'arco NOWITZKI. Sono quegli errori degli avversari che ti fanno capire che ormai la serie pende dalla tua parte.
Brick by brick, quindi. E di mattoni ne ha messi tantissimi Tyson Chandler, finalmente il complemento ideale per Dirk. Qualche giorno fa su Facebook mi chiedevo che cosa stesse pensando in questi momenti Sam Presti, stimatissimo GM dei Thunder che aveva portato in Oklahoma Tyson per poi vedere la trade annullata a causa delle visite mediche. Come nella più evidente delle Sliding Doors, si è visto eliminato dalla squadra di Chandler. E se il lungo ex Bulls avesse vestito la maglia dei Thunder, Perkins sarebbe ancora ai Celtics. E se i Celtics avessero avuto ancora Perkins, avrebbero perso così nettamente con Miami?
Chandler ha avuto un ruolo primario tanto in campo quanto fuori, diventando in pochissimo tempo uno dei leader dello spogliatoio. Nel rettangolo di gioco, ha fatto quello che sapeva fare meglio: difesa, intimidazione, stoppate, qualche sortita offensiva sui lob gentilmente concessi dal professor fossile. E rimbalzi, tanti rimbalzi, soprattutto in attacco, dove ha rappresentato un rebus per i lunghi Heat, così poco verticali, tanto da essere costantemente oggetto di falli subiti. Sì, più di Dirk, di Wade, di LeBron.
I mattoni sono quelli di Shawn Marion, The Matrix, giocatore che ho avuto modo di rivalutare tantissimo in questi playoff. E' stato capace di farmi innamorare per le sue capacità difensive, su Durant e su LeBron, sul quale ha alternato una difesa fisica fatta di mani addosso e mentale, entrandogli nel cervello. Meccanica agghiacciante, è l'uomo dei tiri impossibili, quello che prende posizione in post (prevalentemente a destra) e lascia partire uno strano semigancio, spesso cadendo all'indietro. Quasi quattordici punti di media.
I mattoni li ha messi DeShawn Stevenson, un altro desperado in cerca di vendetta dopo le storie tese tra Cleveland e Washington. Quintetto o panchina non è stato un problema: lui doveva difendere e mettere i piazzati da 3. 56% nelle Finals, missione compiuta.


Il vero vincitore
Volete sapere chi è? Mark Cuban, il proprietario ideale. Ha buttato una barca di soldi. I suoi comportamenti non sono mai piaciuti ai piani alti, e resto dell'idea che una loro componente nel dramma del 2006 ce l'abbiano. Ma le sconfitte lo hanno aiutato a crescere. Ha iniziato a spendere con criterio. Ha contenuto le sue dichiarazioni, le sue sortite, le sue provocazioni. Ha fatto parlare i giocatori. Certo, non gli si poteva chiedere di abbandonare la t-shirt o la panchina, non sarebbe Cuban. Ma ha avuto ragione. E nel momento della vittoria, quando poteva prendersi il piccolo sfizio di prendere il trofeo dalle mani di Stern, lo ha fatto ritirare ad un vecchio con il cappello da cowboy (cit.), il fondatore Don Carter.
Quando si dice la classe...


3 commenti:

suazo80 ha detto...

complimenti vitor , articolo bellissimo!

drugo ha detto...

Anonimo ha detto...

Articolo davvero bello, ottima analisi
PS. Impagabile la citazione sui Radiohead