mercoledì 30 marzo 2011

Non mi è mai stato troppo simpatico...


... però, in attesa dei giornali di domani, ritengo che l'addio al basket di Carlton Myers stia passando un po' troppo sotto silenzio.
Noi lo ricordiamo con questo video fresco di giornata, memori dei bei ricordi con la nazionale ma soprattutto di quella serie playoff (Carlton allora giocava a Roma)  in cui Mike Penberthy, reduce da 6 (SEI) punti totali nelle prime due gare, ebbe la geniale idea di stuzzicarlo in gara-3, vinta da Napoli al Pala Tiziano con 27 punti dell'uomo di Los Gatos, autore di un bel 7/10 da 3. "I am a shooter", disse l'ex Lakers. Pessima mossa, Mike. Gara-4 fu un massacro: Myers chiuse con 40 punti in 28 minuti, 4/5 da 2, 8/12 da 3, 6 recuperi, 10 falli subiti, 49 di valutazione.


(certo che a guardare sta clip non la passava mai eh!)

domenica 27 marzo 2011

They did it again

Un anno fa, i Butler Bulldogs arrivarono a questo tiro dal vincere il titolo ed essere la storia più bella di sempre del college basket. Questione di millimetri. Anzi, di forza.


Oltre al cognome, non condivide
molto con il celebre Dwight
Dodici mesi dopo, perso il leader e autore di quel tiro (l'impatto di Hayward ai Jazz non è stato dei più rimarchevoli), i Bulldogs sbarcano di nuovo alle Final Four. Cinderella è ancora viva. In campo, il leader è Matt Howard, il classico ragazzone bianco dell'Indiana (l'ateneo ha sede proprio a Indianapolis): con quella maglia sotto la canotta, quella pettinatura un po' così e quella mancanza di grazia non gli daresti un centesimo. In realtà è un giocatore serio, in grado di trovare il canestro grazie al sapiente utilizzo di finte, a scivolamenti lungo la linea di fondo. Quest'anno l'evoluzione ha previsto l'aggiunta di un tiro da 3 che gli sarà molto utile qualunque sia il suo futuro (Europa?). Difensivamente ha il problema di non essere fisicamente all'altezza dei pariruolo, e di avere spesso problemi di falli, ma la sua mobilità di piedi - in un sistema in cui spesso il lungo esce per coprire il pick and roll - è sottovalutata.
Altro giocatore di fondamentale importanza è Shelvin Mack, junior, che al contrario è il classico esterno americano in grado di metter su punti. Ma anche lui ha un ruolo primario nella difesa proposta da coach Brad Stevens.
Ecco, Brad Stevens. Il geniaccio. Classe 1976, praticamente un ragazzino, anche lui uomo dell'Indiana, lavora presso l'Ateneo dal 2000. Nel 2007 è diventato Head Coach. Calmo, serafico in panchina, trasmette questa apparente tranquillità ai suoi giocatori. Che sentitamente ringraziano, e giocano con scioltezza. Se volete capire a chi dare il merito per questa favola, giratevi verso di lui.


Sì, ha detto di girarvi verso di me

mercoledì 23 marzo 2011

Tentativi di rivoluzione dal basso

No, non parliamo dei fatti nel Nord Africa, che sono decisamente più seri. Ci soffermiamo su un tentativo che viene da Napoli e che, se riuscisse, sancirebbe una sorta di rivoluzione sportiva nel nostro Paese. Se è vero che l'azionariato popolare si sta lentamente diffondendo all'estero, in Italia sta ancora muovendo i primi passi, come nel caso del Mantova Calcio.
I travagliati ultimi anni della Napoli cestistica sono cosa nota: dopo l'addio alla società di Maione abbiamo avuto il goffo tentativo napo-reatino di Papalia e l'ancor più surreale crac della Nuova Pallacanestro Napoli di Cirillo, impossibilitata a concludere il girone d'andata della B Dilettanti (aka B2) nonostante ottimi risultati sportivi, a livello di pubblico e anche di attenzione dalla stampa.
Insomma, la piccola ma appassionata comunità cestistica di Napoli è ancora a bocca asciutta.
Il nuovo esperimento arriva tramite un'iniziativa popolare comandata dallo speaker radiofonico Salvatore Calise, uomo di panza e si spera uomo di sostanza. Le informazioni le potete trovare su questo sito e in particolare in questo post.

Fino a fine aprile si continueranno a raccogliere le adesioni di chi è interessato. Queste volontà di adesione devono pervenire alla mail ufficiale: azionebasketnapoli@gmail.com. Fondamentale è raccogliere almeno 1000 di queste promesse. Ogni quota è di 100€, e non c’è alcun limite di acquisto. Ogni quota dà diritto ad alcuni benefit (appartenenza al club dei tifosi fondatori, abbonamento al settore esclusivo riservato, gadgettistica del team, sconto su merchandising, vantaggi, sconti e promozioni offerte dalle aziende sponsor).
La seconda fase del progetto deve essere ultimata entro fine maggio 2011 e si articolerà nel versamento effettivo delle quote, nella costituzione della società con relativa affiliazione alla F.I.P. e nell’acquisizione di un titolo sportivo di serie B.
Qualora dovesse realizzarsi il progetto, il Consiglio Direttivo sarà composto da 5 membri: 3 soci fondatori, 1 rappresentate degli sponsor ed 1 eletto dal club dei tifosi fondatori. La rivoluzione copernicana è quella che per la prima volta nella storia dello sport italiano i tifosi fondatori avranno il diritto di eleggere il proprio rappresentante che avrà voce nel consiglio direttivo.

Volete la verità? Non so se l'esperimento riuscirà, ma tentare non costa nulla. Sulla serietà e la passione delle persone che l'hanno lanciata ci posso mettere la mano sul fuoco. La mia paura è che qualche speculatore possa avvicinarsi all'iniziativa per mangiarci su. Ma se la cosa riuscisse...

domenica 20 marzo 2011

Personalmente, tifavo Pittsburgh

Canestro subito da rimbalzo in attacco. 69-70.
Fallo sciocco commesso a centrocampo, con poco più di 1 secondo sulla sirena. Due tiri liberi, ne entra uno (70-70), ma su conseguente rimbalzo difensivo, il fallo più stupido di sempre (8 decimi allo scadere).
Howard va in lunetta per Butler e, nonostante la pettinatura, segna il primo (70-71) e sbaglia volontariamente il secondo. Lasciando a Pittsburgh le briciole, sia del cronometro sia del torneo, che finisce qua.
"Il basket è uno sport di errori" ha dichiarato Manu Ginobili in una recente intervista: un postulato. Noi aggiungiamo un corollario: esistono gli errori, gli errori decisivi e le cazzate immonde. Negli ultimi 2 secondi di Butler - Pittsburgh si sono visti in sequenza.

Ci chiediamo solo come, dopo certe partite, un allenatore riesca a non ucciderli tutti. Ma forse è solo la follia di marzo...

sabato 12 marzo 2011

Il duro lavoro del GM

Quello del general manager, si sa, è un mestiere difficile. Come l'alchimista, deve ponderare il talento e le responsabilità, il valore dei singoli con il concetto di squadra. Ma deve andare oltre, perché se per il 70% l'esito di una stagione dipende da fattori "tecnici", per l'altro 80% quello che conta è la testa dei giocatori. Un buon GM deve quindi essere psicologo e sapere quando fornire all'allenatore tanti soldatini o quando concedersi qualche testa calda, con la mai troppo apprezzata dote di farti vincere le partite.
Spesso i GM hanno persone che lavorano al proprio servizio: gente che, lautamente pagata, monta parabole su parabole per captare i campionati francesi, turchi, belgi, israeliani, ucraini eccetera eccetera. Tecnici il cui lavoro è guardare pallacanestro per 8 ore al giorno, e segnalare come David Holston gioca il pick'n'roll quando il difensore del bloccante esce con uno show forte o da quale posizione tira meglio da 3. Quello del GM è un lavoro certosino, perché non solo ad Holston vanno uniti dei giocatori, ma poi vanno firmati. E inizia il giro delle trattative, che dovrebbe essere iterativo: se il piano A fallisce, si passa al piano B, che potrebbe chiamare non più l'ala grande perimetrale, ma quella che gioca in post. E così via.
Tutto ciò, per individuare e formare un nucleo di 9-10 o 12 giocatori, una squadra che conduca un campionato dall'inizio alla fine. Perché, altrimenti, tutto il lavoro di cui sopra non avrebbe senso. E fare il GM, con la possibilità di cambiare giocatori come le mutande, diventerebbe molto più facile.

mercoledì 9 marzo 2011

NBA for dummies: come non spendere i vostri soldi

L'imminente lockout, la folle deadline ed il crescente potere dei giocatori hanno riportato sotto i riflettori l'aspetto che più distingue l'NBA (e lo sport professionistico americano) dal resto del mondo: no, non le cheerleaders, ma i contratti. Infatti, a differenza di quanto accade nel malato mondo del pallone calciato, in America per esempio non è possibile andare a battere cassa dopo ogni stagione buona. E di contro, in linea di massima, un contratto sbagliato resta sul groppone per tutta la sua durata. Il salary cap dovrebbe permettere alle squadre di giocare più o meno ad armi pari: bene. I problemi nascono quando i 60-70 milioni vengono messi in mano a gente come - nome a caso - Isiah Thomas, perché in qualche modo bisognerebbe pur spenderli quei soldi.

E allora partiamo proprio dai Knicks, che, per la gestione del recente passato, è un po' come sparare sulla croce rossa: anno 2005, la combo Eddy Curry - Jerome James. 60 milioni in 6 anni al primo, 30 in 5 al secondo. Il primo è (era) un buon giocatore di post basso, che non prendeva rimbalzi e men che meno difendeva; il secondo invece un giocatore particolarmente dotato. Ma non in senso cestistico. E anche se da 4 anni non vedono il parquet, non se la sono passata male.


Ci spostiamo di poco dalla Grande Mela, e nel New Jersey troviamo K-Mart: sign and trade con Denver 7 anni al massimo salariale, secondo noi da dividere equamente con Jason Kidd. Sfiga, Giasone non era destinato al Colorado. In più, di recente K-Mart avrebbe espresso il suo sgradimento per il contratto offerto dai Nuggets ad Al Harrington. Certo che non si accontentano mai…



Proseguiamo con Jermaine O'Neal, un tempo dominatore del pitturato: ai bei tempi, Shaq dichiarò che nessun giocatore che non si chiamasse O'Neal poteva metterlo in difficoltà, ed a quei tempi JO firmò un 126 milioni su 7 anni. Parte dei quali passati in infermeria o a fare scazzottate; una delle quali coinvolse Ben Wallace che, con le scatole piene di Flip Saunders, nell'estate 2006 andò a lucrare a Chicago. Precisamente 60 milioni in 4 anni. Peccato, per i Bulls, che il sistema dei Pistons non avesse prezzo.
Ma se storicamente sono i lunghi a beneficiare della generosità di quei gm che non riescono a tener chiuso il portafogli quando vedono un sette piedi in grado di masticare un chewing-gum mentre corre, talvolta anche gli esterni hanno potuto godere di sopravvalutazioni, regali, botte di culo. Partiamo da Allan Houston che, in contumacia Thomas ad onor del vero, chiamò 100 milioni su 6 anni, a partire dal 2001. Sei anni dei quali ne giocò meno della metà. Se errare è umano, perseverare è proprio da Knicks: chiedere a Coney Island's Finest, Mister Stephon Marbury. Il quale passerà alla storia per i miglioramenti di record delle sue squadre, ma solo dopo il suo addio: Minnesota nel 1999-2000, i Nets nel 2001-2002, Phoenix nel 2004-2005 ed ovviamente i Knicks del 2008-2009 (che comunque restavano perdenti).



Tra gli europei, Peja Stojakovic è stato incapace di sfruttare le assistenze di Chris Paul, ma decisamente abile a raccogliere gli emolumenti dalla dirigenza: fate 64 milioni da dividere su 5 anni non proprio intensi. Così come Kirilenko, che farebbe di tutto per rimanere a Utah. Crede forse di turlupinarli ancora?
Particolare fiuto per gli esterni sembra avere anche la dirigenza dei Bucks: 47 milioni in 4 anni per Bobby Simmons e massimo salariale per Michael Redd (100 milioni in 7 anni). La cui voce partite giocate (a partire dalla stagione 2004-2005) recita 75, 80, 53, 72, 33, 18, 0. Senza dimenticarci di Gilbertone nostro, che da Orlando riceve 17 e rotti milioni per qualche minuto di (dubbia) qualità. Nessun problema: ha altri 3 anni, ad oltre 60 milioni, per riprendersi.

Tra i casi meno eclatanti, Marcus Banks guadagna ancora 5 milioni sostanzialmente per fare nulla, Travis Outlaw avrà di che sfamare la famiglia grazie ai petroldollari di Madre Russia e Dan Gadzuric che, dai soliti sospetti Bucks, ha ricevuto la promessa di 35 milioni in 6 anni.

Ai contratti sono spesso legate delle storie curiose, come quella di Darius Miles. Firmato da Portland durante la stagione 2003-2004, dopo due anni ed alterne fortune si operò al ginocchio. Saltò entrambe le stagioni 2006/07 e 2007/08, quando i Blazers lo tagliarono, ritenendo che l'infortunio fosse tale da mettere fine alla sua breve carriera. Sebbene dichiarato cestisticamente morto anche da un medico nominato dall'associazione giocatori, Miles fu ingaggiato da Memphis per il 2008/2009, giocando 34 partite di stagione regolare. Il taglio dei Blazers fu invalidato, e Miles ricevette altri 18 milioni dall'Oregon.
Se vi state chiedendo come abbia usato questi soldi, l'immagine sottostante potrebbe darvene un'idea..



Il contratto di Joe Smith costò invece ai Twolves l'annullamento di 5 prime scelte e una multa di 3,5 milioni: nel 1998 Joe Smith firmò con Minnesota a cifre risibili per un giocatore del suo calibro, permettendo a Kevin McHale di conservare spazio salariale ed ottenendo la promessa di un contratto multimilionario in futuro. La NBA ovviamente non gradì per niente.
La vicenda Smith può entrare di sicuro tra le peggiori di tutti tempi in termini di danni causati da un contratto. Ma se si vogliono valutare i peggiori contratti di tutti i tempi, il podio di Poetry in Motion vede:

3) Vin Baker: da Seattle 7 anni e 86 milioni. Quasi tutti bevuti.
2) Rashard Lewis: attualmente, il secondo giocatore più pagato di tutto il circo.
1) Jim McIlvaine: per quale motivo una franchigia dovrebbe offrire un contratto da 35 milioni ad un lungo capace di due anni a 2 punti e 3 rimbalzi? Per informazioni, rivolgersi ai Sonics.



martedì 8 marzo 2011

Occhio a Kenneth

E' rapido e atletico. E' veloce, sguscia tra gli avversari più grossi e spesso batte anche quelli più piccoli. E' un trascinatore, a rimbalzo è devastante (come ci ricorda Draftology, chiuderà la sua carriera come miglior rimbalzista della storia NCAA, superando Tim Duncan. Sì, quel Tim Duncan). Ha istinto per il canestro.
Gioca nello sconosciuto college di Morehead State, che con lui ha acquisito rilevanza nazionale. E' su SportsIllustrated, su Espn, su Draftexpress.
Lo riconoscete per i dreadlocks e per l'energia in campo.
La mamma, affetta di lupus, è lesbica.
Lo paragonano a Dennis Rodman, e in effetti i pregi sono simili, così come i difetti (cercasi jumper disperatamente).
Al prossimo draft probabilmente sentiremo chiamare il suo nome. Difficile sia Stern a farlo, più probabile sia uno dei primi ad inizio secondo giro. Ma per me è già idolo.

domenica 6 marzo 2011

Una causa persa

Un rarissimo scatto
Ci sono voluti tre supplementari, ma Andrea Bargnani è finalmente riuscito ad ottenere la seconda doppia/doppia stagionale. Quella precedente fu contro i Thunder privi di Durant. E se altre volte non ci è riuscito, non è stato certo per colpa di serate storte al tiro...
Lo so, se ne è parlato all'infinito e se ne continuerà a parlare. Lo so, è una causa persa. Ma che qualcosa non vada è evidente. Innanzitutto diciamo che non ci sembra una furbata, non ci sembra una mossa da Stern, portare a Londra Nets e Raptors per promuovere la Lega. Ok, sono state due partite punto a punto, ma se non era per la trade di Deron Williams gli inglesi di stelle sul parquet non ne avrebbero vista manco una. Nonostante Deron, si sono cuccati due squadre imbarazzanti, e la fortuna ha voluto che per movimentare un po' le cose ci siano voluti tre supplementari.
Detto questo... in un gulag come gli attuali Raptors, dove obiettivamente riuscire a giocare a basket può non risultare semplicissimo, Andrea Bargnani ha quest'anno dimostrato di poter essere la prima punta realizzatrice di una franchigia Nba, per quanto disastrata. Mentre scriviamo, il Mago è quindicesimo per media punti, con quasi 22 di media.
Il problema resta sempre lo stesso, e gli impedisce di essere considerato un giocatore franchigia. E' lo storico tallone d'achille dei rimbalzi, della consistenza. Andato via Bosh, ci saremmo aspettati qualche progresso almeno numerico in tal senso. Invece niente: siamo passati dai 6.2 della scorsa stagione ai 5.6 di quest'anno. E capirete che per un 2.13 non sono proprio cifre simpatiche. 

E se uno sente frasi del tipo "Gioco a palla-canestro, non a palla-rimbalzo", ammetterete che la causa è persa e uno preferisce gasarsi per Kris Humphries (e per la signora Kardashian).