sabato 12 marzo 2011

Il duro lavoro del GM

Quello del general manager, si sa, è un mestiere difficile. Come l'alchimista, deve ponderare il talento e le responsabilità, il valore dei singoli con il concetto di squadra. Ma deve andare oltre, perché se per il 70% l'esito di una stagione dipende da fattori "tecnici", per l'altro 80% quello che conta è la testa dei giocatori. Un buon GM deve quindi essere psicologo e sapere quando fornire all'allenatore tanti soldatini o quando concedersi qualche testa calda, con la mai troppo apprezzata dote di farti vincere le partite.
Spesso i GM hanno persone che lavorano al proprio servizio: gente che, lautamente pagata, monta parabole su parabole per captare i campionati francesi, turchi, belgi, israeliani, ucraini eccetera eccetera. Tecnici il cui lavoro è guardare pallacanestro per 8 ore al giorno, e segnalare come David Holston gioca il pick'n'roll quando il difensore del bloccante esce con uno show forte o da quale posizione tira meglio da 3. Quello del GM è un lavoro certosino, perché non solo ad Holston vanno uniti dei giocatori, ma poi vanno firmati. E inizia il giro delle trattative, che dovrebbe essere iterativo: se il piano A fallisce, si passa al piano B, che potrebbe chiamare non più l'ala grande perimetrale, ma quella che gioca in post. E così via.
Tutto ciò, per individuare e formare un nucleo di 9-10 o 12 giocatori, una squadra che conduca un campionato dall'inizio alla fine. Perché, altrimenti, tutto il lavoro di cui sopra non avrebbe senso. E fare il GM, con la possibilità di cambiare giocatori come le mutande, diventerebbe molto più facile.

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