mercoledì 9 marzo 2011

NBA for dummies: come non spendere i vostri soldi

L'imminente lockout, la folle deadline ed il crescente potere dei giocatori hanno riportato sotto i riflettori l'aspetto che più distingue l'NBA (e lo sport professionistico americano) dal resto del mondo: no, non le cheerleaders, ma i contratti. Infatti, a differenza di quanto accade nel malato mondo del pallone calciato, in America per esempio non è possibile andare a battere cassa dopo ogni stagione buona. E di contro, in linea di massima, un contratto sbagliato resta sul groppone per tutta la sua durata. Il salary cap dovrebbe permettere alle squadre di giocare più o meno ad armi pari: bene. I problemi nascono quando i 60-70 milioni vengono messi in mano a gente come - nome a caso - Isiah Thomas, perché in qualche modo bisognerebbe pur spenderli quei soldi.

E allora partiamo proprio dai Knicks, che, per la gestione del recente passato, è un po' come sparare sulla croce rossa: anno 2005, la combo Eddy Curry - Jerome James. 60 milioni in 6 anni al primo, 30 in 5 al secondo. Il primo è (era) un buon giocatore di post basso, che non prendeva rimbalzi e men che meno difendeva; il secondo invece un giocatore particolarmente dotato. Ma non in senso cestistico. E anche se da 4 anni non vedono il parquet, non se la sono passata male.


Ci spostiamo di poco dalla Grande Mela, e nel New Jersey troviamo K-Mart: sign and trade con Denver 7 anni al massimo salariale, secondo noi da dividere equamente con Jason Kidd. Sfiga, Giasone non era destinato al Colorado. In più, di recente K-Mart avrebbe espresso il suo sgradimento per il contratto offerto dai Nuggets ad Al Harrington. Certo che non si accontentano mai…



Proseguiamo con Jermaine O'Neal, un tempo dominatore del pitturato: ai bei tempi, Shaq dichiarò che nessun giocatore che non si chiamasse O'Neal poteva metterlo in difficoltà, ed a quei tempi JO firmò un 126 milioni su 7 anni. Parte dei quali passati in infermeria o a fare scazzottate; una delle quali coinvolse Ben Wallace che, con le scatole piene di Flip Saunders, nell'estate 2006 andò a lucrare a Chicago. Precisamente 60 milioni in 4 anni. Peccato, per i Bulls, che il sistema dei Pistons non avesse prezzo.
Ma se storicamente sono i lunghi a beneficiare della generosità di quei gm che non riescono a tener chiuso il portafogli quando vedono un sette piedi in grado di masticare un chewing-gum mentre corre, talvolta anche gli esterni hanno potuto godere di sopravvalutazioni, regali, botte di culo. Partiamo da Allan Houston che, in contumacia Thomas ad onor del vero, chiamò 100 milioni su 6 anni, a partire dal 2001. Sei anni dei quali ne giocò meno della metà. Se errare è umano, perseverare è proprio da Knicks: chiedere a Coney Island's Finest, Mister Stephon Marbury. Il quale passerà alla storia per i miglioramenti di record delle sue squadre, ma solo dopo il suo addio: Minnesota nel 1999-2000, i Nets nel 2001-2002, Phoenix nel 2004-2005 ed ovviamente i Knicks del 2008-2009 (che comunque restavano perdenti).



Tra gli europei, Peja Stojakovic è stato incapace di sfruttare le assistenze di Chris Paul, ma decisamente abile a raccogliere gli emolumenti dalla dirigenza: fate 64 milioni da dividere su 5 anni non proprio intensi. Così come Kirilenko, che farebbe di tutto per rimanere a Utah. Crede forse di turlupinarli ancora?
Particolare fiuto per gli esterni sembra avere anche la dirigenza dei Bucks: 47 milioni in 4 anni per Bobby Simmons e massimo salariale per Michael Redd (100 milioni in 7 anni). La cui voce partite giocate (a partire dalla stagione 2004-2005) recita 75, 80, 53, 72, 33, 18, 0. Senza dimenticarci di Gilbertone nostro, che da Orlando riceve 17 e rotti milioni per qualche minuto di (dubbia) qualità. Nessun problema: ha altri 3 anni, ad oltre 60 milioni, per riprendersi.

Tra i casi meno eclatanti, Marcus Banks guadagna ancora 5 milioni sostanzialmente per fare nulla, Travis Outlaw avrà di che sfamare la famiglia grazie ai petroldollari di Madre Russia e Dan Gadzuric che, dai soliti sospetti Bucks, ha ricevuto la promessa di 35 milioni in 6 anni.

Ai contratti sono spesso legate delle storie curiose, come quella di Darius Miles. Firmato da Portland durante la stagione 2003-2004, dopo due anni ed alterne fortune si operò al ginocchio. Saltò entrambe le stagioni 2006/07 e 2007/08, quando i Blazers lo tagliarono, ritenendo che l'infortunio fosse tale da mettere fine alla sua breve carriera. Sebbene dichiarato cestisticamente morto anche da un medico nominato dall'associazione giocatori, Miles fu ingaggiato da Memphis per il 2008/2009, giocando 34 partite di stagione regolare. Il taglio dei Blazers fu invalidato, e Miles ricevette altri 18 milioni dall'Oregon.
Se vi state chiedendo come abbia usato questi soldi, l'immagine sottostante potrebbe darvene un'idea..



Il contratto di Joe Smith costò invece ai Twolves l'annullamento di 5 prime scelte e una multa di 3,5 milioni: nel 1998 Joe Smith firmò con Minnesota a cifre risibili per un giocatore del suo calibro, permettendo a Kevin McHale di conservare spazio salariale ed ottenendo la promessa di un contratto multimilionario in futuro. La NBA ovviamente non gradì per niente.
La vicenda Smith può entrare di sicuro tra le peggiori di tutti tempi in termini di danni causati da un contratto. Ma se si vogliono valutare i peggiori contratti di tutti i tempi, il podio di Poetry in Motion vede:

3) Vin Baker: da Seattle 7 anni e 86 milioni. Quasi tutti bevuti.
2) Rashard Lewis: attualmente, il secondo giocatore più pagato di tutto il circo.
1) Jim McIlvaine: per quale motivo una franchigia dovrebbe offrire un contratto da 35 milioni ad un lungo capace di due anni a 2 punti e 3 rimbalzi? Per informazioni, rivolgersi ai Sonics.



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