domenica 27 marzo 2011

They did it again

Un anno fa, i Butler Bulldogs arrivarono a questo tiro dal vincere il titolo ed essere la storia più bella di sempre del college basket. Questione di millimetri. Anzi, di forza.


Oltre al cognome, non condivide
molto con il celebre Dwight
Dodici mesi dopo, perso il leader e autore di quel tiro (l'impatto di Hayward ai Jazz non è stato dei più rimarchevoli), i Bulldogs sbarcano di nuovo alle Final Four. Cinderella è ancora viva. In campo, il leader è Matt Howard, il classico ragazzone bianco dell'Indiana (l'ateneo ha sede proprio a Indianapolis): con quella maglia sotto la canotta, quella pettinatura un po' così e quella mancanza di grazia non gli daresti un centesimo. In realtà è un giocatore serio, in grado di trovare il canestro grazie al sapiente utilizzo di finte, a scivolamenti lungo la linea di fondo. Quest'anno l'evoluzione ha previsto l'aggiunta di un tiro da 3 che gli sarà molto utile qualunque sia il suo futuro (Europa?). Difensivamente ha il problema di non essere fisicamente all'altezza dei pariruolo, e di avere spesso problemi di falli, ma la sua mobilità di piedi - in un sistema in cui spesso il lungo esce per coprire il pick and roll - è sottovalutata.
Altro giocatore di fondamentale importanza è Shelvin Mack, junior, che al contrario è il classico esterno americano in grado di metter su punti. Ma anche lui ha un ruolo primario nella difesa proposta da coach Brad Stevens.
Ecco, Brad Stevens. Il geniaccio. Classe 1976, praticamente un ragazzino, anche lui uomo dell'Indiana, lavora presso l'Ateneo dal 2000. Nel 2007 è diventato Head Coach. Calmo, serafico in panchina, trasmette questa apparente tranquillità ai suoi giocatori. Che sentitamente ringraziano, e giocano con scioltezza. Se volete capire a chi dare il merito per questa favola, giratevi verso di lui.


Sì, ha detto di girarvi verso di me

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