domenica 30 maggio 2010

Un'offerta che non può rifiutare

"Chissà se Markoishvili rimarrà in un impianto così bello e dai gabinetti così accoglienti come il Pianella, dopo che lo avremo contattato. A lui e ad altri giocatori di Cantù faremo offerte consistenti, magari consorziandoci con altre società."

Fonte: Il Resto del Carlino

sabato 29 maggio 2010

Dal college all'Europa

Uno sguardo su alcuni giocatori che hanno lasciato il college la scorsa estate, per vedere come hanno affrontato la loro prima stagione europea.

Levance Fields, uno degli artefici della grande stagione dei Pittsburgh Panthers di DeJuan Blair e Sam Young, è finito in Russia, allo Spartak St. Petersburg. 13 punti e 3.5 assist di media per il play cubico, con la ciliegina sulla torta dei 36 punti nella sconfitta in gara5 di playoffs contro il Khimki.
Grecia per A.J. Abrams, folletto uscito da Texas. Per lui 17 punti di media, secondo miglior realizzatore del campionato, con il 55% da 2 e il 38 da 3.
E' finito in Turchia Jack McClinton, cecchino di Miami (FL), scelto al secondo giro dagli Spurs. Nell'Aliaga Petkim ha tirato, tirato, tirato. 15 punti di media ma solo il 32% da 3.Mezzaluna anche per Josh Shipp, ex UCLA: per lui 18 punti ad allacciata di scarpe, conditi da 5 rimbalzi e quasi 2 recuperi.
E' finita in calando la stagione di Jerel McNeal, commovente lo scorso anno a Marquette. Dopo un esordio scoppiettante da 24 punti, si è attestato sui 15 punti di media, tanto in Belgio (quarto in campionato) quanto in Eurocup.
Diciannove i punti di media per uno dei nostri pupilli. E' sempre Natale in Israele con Dionte Christmas, che contro l'Hapoel Jerusalem ha toccato anche 33 punti.
Ha incantato la Francia A.D. Vassallo, robusta guardia/ala da Virginia Tech: 17.8 punti di media al Paris-Levallois, con il 42% da 3. E' stato il quarto realizzatore del campionato. Francia anche per Andrew Lovedale, il nigeriano che costituiva l'unica alternativa interna alla coppia Jason Richards-Stephen Curry nella favola di Davidson. Inizio pessimo, chiude con 13 punti e 8 rimbalzi di media.

14 punti di media in Israele per Jeremy Pargo (Gonzaga). Il suo ex compagno di college Josh Heytvelt ha incantato la Turchia (17+10 con il 59% da 2 e il 36% da 3), per poi fare una comparsata nella Roma di Boniciolli. In Italia abbiamo visto anche Robert Vaden (17 di media a Imola) e KC Rivers (24 in 12 gare a Latina, prima di salire di categoria a Treviso, con chiusura in crescendo). L'ex Memphis Robert Dozier è finito in Grecia, al VAP Kolossos: 9 punti e 6 rimbalzi di media in 25 minuti, con un ottimo 47% da 3.

Spocchia

Non per vantarci, ma per noi Kristian Kangur è carta conosciuta da un bel po'....

giovedì 20 maggio 2010

Playoff Italia: Preview



Vince Siena.

mercoledì 19 maggio 2010

Tutti nel lago! (cit.)

lunedì 17 maggio 2010

Wilt, LeBron e Rodman per pranzo

Si è soliti dire che, se il basket è quello che è oggi, è principalmente merito di Danny Biasone, Doctor J e Michael Jordan. Il primo, italo-americano proprietario dei Syracuse Nationals (poi Philadelphia 76ers), fu “l’inventore” dei 24 secondi; il secondo è quello che ha portato il basket da sport giocato a terra a sport giocato in aria, il terzo è quello che ha riscritto l’epica della pallacanestro, ridisegnato la figura del “vincente”. In realtà, forse nessun uomo ha modificato il gioco, in termini di regole cambiate ad hoc per ridurne lo strapotere, quanto Wilt Chamberlain ha fatto nella sua carriera.
Alto 2,18 per 130 chili, eccezionalmente coordinato e armonioso nei movimenti, Wilt Chamberlain è stato il realizzatore di 100 punti in una singola partita (36/63 dal campo contro i Knicks, storicamente propensi ad entrare nella storia dal lato sbagliato), in una stagione da 50 di media; Chamberlain è il miglior rimbalzista della storia NBA (in una partita contro i Celtics ne prese 55) e, memore del suo passato negli Harlem Globetrotters, un anno guidò addirittura la Lega in assist. Giocando da centro. Se si cerca in giro per record Nba, però, si vede che ancora oggi molte delle primizie statistiche portano il suo nome.
Vero che si parla d’altri tempi ed altro basket, ma il fenomeno mediatico Chamberlain era già assolutamente paragonabile alle odierne superstar: da liceale, il corteggiamento delle università che volevano reclutarlo divenne per lui insostenibile e prima del suo arrivo tra i pro, un giornalista si chiese se la pallacanestro sarebbe sopravvissuta a Chamberlain. Il suo strapotere fisico, prima ancora che tecnico, era imbarazzante: era più alto, o più veloce, o più forte di tutti i suoi avversari ed era in grado di dettare le regole di una gara sui due lati del campo.

E se il basket è sopravvissuto a Chamberlain, oggi possiamo dire di sì, gran parte del merito fu dei Celtics di Bill Russell e Red Auerbach, ma anche dello stesso Wilt. I biancoverdi erano l’unico team che poteva permettersi di non raddoppiare Chamberlain: Wilt finiva sempre con il suo consistente bottino di punti e rimbalzi, ma Russell gli impediva di dominare la partita, permettendo a Boston di vincere titoli su titoli. Fate undici in tredici anni. Vero, altri tempi ed altro basket: si pensi che al vecchio Garden si difendeva cercando di portare gli avversari sui “punti morti” del parquet, dove la palla rimbalzava male ed era quindi più facile rubarla. Ma sono sempre undici in tredici anni, e quasi ogni anno il cammino di Russell e di Chamberlain si incrociava nei playoff. Dove, fatta eccezione che per il 1967, si sono sempre imposti i Celtics.



Il merito di Wilt? Oltre all’aver dato vita ad una rivalità con Bill Russell che finalmente appassionò l’America al basket (e oltre ad essere stato la prima superstar di colore), il merito di Wilt fu quello di aver dimostrato, forse per la prima volta, che da soli non si vince se di fronte c’è una squadra. In questo giocò un ruolo fondamentale il suo carattere. Dopo aver dimostrato a se stesso e al mondo che poteva battere Bill Russell ed i Celtics, (giocando di squadra, poiché il 1967, anno del suo primo titolo, fu il primo sotto i 30 di media), Wilt finì col concentrarsi sulla cosa che amava di più: i record. Ed i suoi compagni di squadra, spesso a loro volta superstar come Paul Arizin, finivano sempre con lo scendere di livello per quanto fosse dominante la sua figura. Non importava chi avesse chiuso meglio la regular season ed avesse il vantaggio del fattore campo: giocando meglio, grazie ad uno spogliatoio più unito, o grazie al loro proverbiale “culo”, erano sempre i Celtics ad avere la meglio.

Premendo FF nel nastro della storia del gioco, trent’anni dopo il secondo ed ultimo titolo di Chamberlain, nella Nba arrivò un Karl Malone che giocava playmaker: il Prescelto, Re Giacomo, LeBron James.
Il suo strapotere fisico, prima ancora che tecnico, era imbarazzante: era allo stesso tempo più veloce, più pesante e più forte di chiunque provasse a marcarlo, tirava col 50% da metà campo ed aveva in dote, oltre al fisico del suddetto Malone, la visione di gioco di un Jason Kidd e forse la miglior mano sinistra per concludere di tutta la lega. King James fu autore di alcune stagioni da videogioco: tabellini alla Oscar Robertson tutte le sere, primati su primati conquistati ed i derelitti Cavs arrivavano alla post season con il miglior record della lega. Poi, nonostante LeBron continuasse con i suoi numeri irreali (che alle volte diventavano semplicemente impossibili, come nelle finali di Conference del 2009), i Cavs non arrivavano mai all’anello. L’unica costante, oltre ai numeri del Re, era l’incostanza dei suoi compagni di squadra. Chiunque essi fossero.
LeBron oggi ha trasceso i confini del giocatore, diventando di fatto l’allenatore, il GM, la franchigia e forse l’intera città. È lui che fa le regole, è lui che comanda. Il supporting cast gli è stato sempre cambiato secondo le sue preferenze, prima cercandogli un secondo violino (prima Larry Hughes, ora Mo Williams, il prossimo sarà Joe Johnson), poi un giocatore che gli potesse aprire il campo (Antawn Jamison), dopo che il campo gli era stato chiuso con Shaq, che però era là sempre per far felice LeBron. Chiunque vada alla sua corte, anche ex giocatori franchigia, si scioglie però come burro sotto i raggi del Re Sole, che divora gli avversari nelle 82 partite di stagione, ed i compagni nei playoff.

LeBron probabilmente non ha la stessa libido statistica di Wilt Chamberlain, né il suo carattere sensibile fino all’estremo, ma è al pari di Wilt un uomo, cresciuto sotto i riflettori, capace di coltivare il proprio talento al punto da rendersi alieno al resto del mondo. Chi scrive sa che questo discorso, oltre a lasciare il tempo che trova, è prematuro, perché si parla di un ragazzo di neanche 26 anni, ossia in linea per chiudere la carriera con 8 successi finali. Ma chi scrive pensa che non ci sia stato Jordan senza Bulls. Che non si vince (e non si perde) da solo. Che se però Jordan si mangia i Bulls, allora è solo per davvero, come lo era Wilt e come forse lo è LeBron…

Criptonite


Solitamente, un giocatore fa delle finte di corpo per trarre in inganno il suo difensore, per trarre un vantaggio di qualche centesimo di secondo per lasciarlo sul posto. Questa sera abbiamo visto Rasheed Wallace effettuare delle finte di corpo in fase difensiva per mandare in confusione Dwight Howard, per farlo esitare, per rendergli la conclusione o l'avvicinamento a canestro meno sicuri. Sheed è stato in grado di entrare (grazie anche alla collaborazione di un Perkins ingiustamente criticato fino alla noia da Peterson) nella testa di Howard, lo ha mandato nella più totale confusione. In tutti i modi. Con le cattive, con alcuni falli che sapevano di avvertimento, con tanto di sguardo severo dopo il fischio arbitrale.
Con le buone, costringendolo a palle perse, semiganci simili a lanci del peso, infrazioni di passi.
Strattonata, spintarella, botta, spintarella, e al momento giusto si toglie la sedia. Fischio. Palla Celtics.

Quella tra Magic e Celtics si preannuncia una serie molto lunga. Boston ha vinto la prima grazie a una difesa che nel primo tempo ha concesso ai Magic i punti che solitamente segnano in un quarto. Orlando può sorridere, a denti stretti, pensando che alla fine la stava anche per riacciuffare, nonostante Howard dannoso e Lewis non pervenuto.
Ed è probabile che la chiave della serie sarà proprio quel mattacchione di Rasheed, chiamato a mandare fuori giri un Howard che oggi ha mostrato imbarazzanti limiti offensivi (e se fosse sopravvalutato?), e in grado di essere una preziosa arma tattica offensiva, con la sua capacità di colpire da fuori, che permette di aprire l'area alle scorribande di Rondo e Pierce.

venerdì 14 maggio 2010

Il re è morto, viva il re



Oh no, un altro post/wall of text di Vitor che sviscera l'ovvio e alla fine non individua soluzioni concrete? Ebbene sì!

E chi se lo sarebbe aspettato, un mesetto fa, che saremmo stati a commentare l'eliminazione dei Cavaliers da parte di una squadra, i Celtics, che in regular season aveva sostanzialmente dato l'impressione di essere alla fine del suo breve (ma proficuo) ciclo, e invece è risorta come solo l'Araba fenice sa fare, ritrovando il Garnett dei bei tempi e addirittura Rasheed Wallace?
E invece siamo qua, noi per ultimi, a parlare proprio di questo. E l'impressione che in questi giorni si siano scritte un po' di pagine della storia di questo giochino è grande. La sensazione è quella di aver vissuto, soprattutto dopo gara5, uno di quei momenti da Sliding Doors. Cosa è andato storto? E se i Cavs avessero vinto quella partita, come sarebbe cambiata la serie? Ma soprattutto, come sarebbero cambiati i destini dei prossimi dieci anni di Nba?
Sono discorsi ipotetici, ovviamente. Ma ora è ovvio che le prime pagine saranno ancor più piene di LeBron fin quando non lo vedremo sollevare la canotta della sua nuova squadra, o degli stessi Cavs, con un coup de theatre che in fin dei conti non sarebbe così improponibile, ma che avrebbe effetti tutti da verificare.

Il re è nudo? Nella mente del mio co-blogger, stimolata da una lettura che gli ho passato, frulla un paragone che può sembrare folle e prematuro, ma che, almeno nella bozza di idee che ha voluto rivelarmi, è decisamente intrigante. Di questo ovviamente ne parleremo appena lui si sarà riordinato le idee e soprattutto si sarà sottratto dall'abbraccio della sua bella.
Intanto, a noi non resta che essere spettatori di quanto sta avvenendo. Probabilmente lo slogan "We are all witness" vale oggi più che mai, e mezzo mondo penderà ora dalle labbra di James, in attesa che pronunci il nome di una delle 30 franchigie.

Approcciarsi a una defaillance di questo tipo è arduo. Innanzitutto bisogna riconoscere i giusti meriti ai vincitori, perché il messaggio che ovviamente sta passando è quello di una sconfitta per LeBron. Ma questi Celtics sono invidiabili per carattere, tenacia, applicazione difensiva. Hanno giocato una serie praticamente perfetta, a parte la disfatta al Garden, poi ricambiata. Hanno saputo trovare di volta in volta il protagonista giusto (attenzione, su questo ci torniamo) per vincere le partite. Rondo si sta affermando, nonostante i suoi palesi limiti, come uno dei migliori play della Lega, smentendo il sottoscritto che, per quanto lo seguisse con interesse dai tempi di Kentucky, pronosticandogli un discreto futuro Nba, mai avrebbe potuto pensare di trovarsi di fronte un All Star. E anche qua tanto di capello al mio socio.
Ray Allen. Allen mi fa godere. Mi capita spesso di estraniarmi totalmente dall'azione di gioco per vederlo muoversi tra i blocchi e cercare l'uscita per un tiro della cui eleganza si è detto tanto, ma mai abbastanza. Hanno ritrovato un Garnett ad alti livelli, capace di fare pagare dazio a Jamison in entrambi i lati del campo. Hanno avuto un contributo sostanzioso dai role player, da Tony Allen a Perkins. Hanno vinto e controllato la serie nonostante un Pierce apparso inizialmente un po' in difficoltà. Ma, capiamoci, non aveva uno dei clienti più facili da controllare. Ed in gara5 ha messo il suo marchio sulla serie.

Sui Cavs la mia idea è quella di un sistema di gioco che ad alti livelli difficilmente può portare a risultati concreti. Oddio, direte voi che James è arrivato in finale con una squadra decisamente inferiore, e il sistema di gioco era sostanzialmente simile: palla a lui e poi si vede. Ma allora applicazione e capacità difensive erano sembrate decisamente superiori.
Il mio è un discorso che lascia un po' il tempo che trova, perché con il LeBron James di gara5 probabilmente qualsiasi squadra avrebbe perso una serie di playoff. Ma il sistema offensivo dei Cavs risente più di molti altri di una giornata storta della sua stella. Se Bryant non è in giornata, i Lakers possono sempre affidarsi, per qualche azione ovviamente, alla Triangolo. Dei Celtics abbiamo già parlato, e anche con un contributo offensivo limitato di Pierce abbiamo visto le sfuriate di Rondo, i blocchi per il tiro di Allen, la ricerca del jumper di Garnett dal gomito. I Magic hanno un sistema di gioco che esalta i tiratori. E' opinione diffusa, e anche condivisibile, che Orlando senza la presenza di Howard in area non potrebbe giocare in questo modo, perché le sue bocche da fuoco non avrebbero tutto questo spazio. Intanto contro i Bobcats (ok, i Bobcats, ma andiamo avanti) hanno vinto 4-0 nonostante un contributo ridottissimo di DH12.
A Cleveland questo non può succedere. Tutto nasce e muore da LeBron. E se James dà un contributo ridotto le alternative non ci sono. Non tanto per il talento, che comunque c'è. Quanto proprio per come è strutturato questo sistema offensivo. Va anche detto che se come seconda e terza opzione offensiva hai due giocatori che non sono proprio il massimo da coinvolgere quando la palla scotta, vedi alle voci Antawn Jamison e Mo Williams, le cose non sono facilissime. Aggiungiamo che i due non sono grandissimi difensori, ai quali bisogna affiancare anche uno Shaq al tramonto, e allora si capisce che i Cavs che persero le Finals contro gli Spurs avevano decisamente meno talento, ma al tempo stesso potevano disporre di un assetto difensivo decisamente più consistente su cui poter contare.

Letta così, può sembrare un'accusa a coach Brown. Che non amo come allenatore, e che ha sostanzialmente le sue colpe. Su due piedi, troppo poco Varejao, probabilmente troppo Shaq, nella speranza che offensivamente qualcuno la buttasse dentro. E Shaq su Garnett? No scusate, Shaq su Garnett?
Probabilmente i Cavs avrebbero dovuto cercare di correre di più, erano più veloci e più fisici in ogni ruolo. Un quintetto con LeBron da 4? Si sarebbe potuto usare ogni tanto, ma non con continuità, perché James deve ancora crescere (e dovrebbe iniziare a farlo) come giocatore di post.
Ma la sensazione è che comunque sia saltato qualcosa nella testa del numero 23. Ci ha abituato fin troppo bene? Può darsi. Ma una prestazione come quella di gara5 sarà difficile da far dimenticare.

E ora? Ci aspetta una lunga estate. La decisione di LeBron sarà il Big One. Da quel momento potranno esserci altre scosse di una certa rilevanza, e le scosse di assestamento. Ma il futuro della Lega dipenderà dalle volontà di James.

lunedì 10 maggio 2010

Que viva Baso!



Con un Rubio in difficoltà contro un Beverley assatanato e decisamente rivedibile (son generoso) in difesa, Pascual ha buttato dentro Victor Sada che ha giocato una gara perfetta. Navarro ha fatto il Navarro, Mickael s'è dimostrato immarcabile, Vazquez ha portato un fondamentale contributo di intimidazione. Olympiakos annichilito, ma la soddisfazione più grande, personalmente, è stata per Gianluca Basile. Il sito della Gazzetta riporta una bellissima intervista.

Foto dell'anno

Sweep

Devo le mie scuse a Steve Nash.

domenica 9 maggio 2010

Divoscion

Ci prepariamo a Barça-Reds. I catalani arrivano in finale con, né più né meno che, una prova di forza con il CSKA partito a razzo e schiantatosi contro la difesa blaugrana.
Gli uomini di Giannakis hanno vinto di Vranes contro il Partizan, che aveva sorpreso ad arrivare alle F4, ma ha stupito ancora di più in semifinale dimostrando che avrebbe potuto ambire anche a qualcosa in più, nonostante tutto. Dicevo di Vranes che ha dormito con la proverbiale zizza in bocca sul tiro di Teodisic, convertito in due punti da un grande Childress, e si è fatto apparecchiare in testa da Bourousis nell'overtime.
A questo punto abbiamo:

Rubio vs Papaloukas
Navarro vs Teodosic
Mikael vs Childress
...solo per rimanere con gli esterni.
Da leccarsi i baffi...

domenica 2 maggio 2010

Semifinals - Preview

Come fatto per il primo round, provo a fare delle considerazioni sulle semifinali di conference. Sostanzialmente fregandomene che ne sentiate il bisogno o meno.
In ogni caso, le semifinali sono già iniziate (Cleveland è già in vantaggio su Boston), il che forse toglie un po' di fascino alla formulazione di una preview - e in più semplifica anche il compito: dal ventaglio dei possibili risultati, è automaticamente escluso il 4-0 per Boston. Ma non mi anticipo niente e vado al dunque, partendo proprio dalla Eastern Conference.

Cleveland Cavaliers - Boston Celtics
Premessa: scusatemi se sono di parte, ma tifo Boston. 1-0 al momento in cui scrivo, con una prima partita di quelle che fanno pensare ad una grande serie. Boston ha tenuto sotto Lebron per buona parte della gara, finché uno dei vassalli del Re non ha iniziato a giocare.
Le due squadre sono abbastanza in forma (forse Boston più di Cleveland), ma Cleveland è più..è più.. è più tutto. Mi piace pensare che, con Garnett tornato ad essere un giocatore, la chiave possa essere Sheed. E' anche vero che le speranze biancoverdi aumentano con lo scompiglio che Rondo riesce a creare dal palleggio, visto che Williams non può tenerlo.

Isolare King James. Se fossi in Rivers mi lascerei battere da lui, perché i Cavs che giocano di squadra sono quasi imbattibili. Pronostico: spero in una serie lunga, per lo spettacolo, ma anche perché in una gara 7 la maggiore esperienza di Boston potrebbe pesare. Dico Cavs in 6 o 7 gare.






Orlando - Atlanta/Milwaukee

Avevo pronosticato Atlanta vincente in 4 o 5: Milwaukee ha portato la serie a gara 7. Pur denunciando i limiti degli Hawks in trasferta, non avrei mai pensato che fosse loro necessario trovarsi con le spalle al muro per giocare da Hawks, seppur contro gli eroici Bucks (Psyco Skiles è il Lino Lardo d'America, assolutamente mio coach dell'anno).
Atlanta non meriterebbe di passare il turno, ma credo lo farà questa sera. E la sostanza non cambierebbe se anche passassero i Bucks: i Magic sono una corazzata. Il sistema di Orlando ed il disordine organizzato di Atlanta potrebbero dar luogo ad una serie molto interessante, col fronteggiarsi di due filosofie completamente diverse. Orlando ha passeggiato su Charlotte, nonostante un Howard in singola cifra e in punti e in rimbalzi.



In stagione regolare, contro gli Hawks il custode del pitturato ha fatto registrare 21.0 punti + 16.8 rimbalzi + 3.5 stoppate: in sostanza, gli Hawks sono una delle squadre con cui Howard riesce ad andare meglio anche in attacco. Se dovessero passare i ragazzi di coach Woodson, l'imperativo potrebbe essere attaccare il pitturato, sperando che i falli limitino Howard. La transizione difensiva di Atlanta è buona, Josh Smith può far soffrire Lewis su entrambi i lati del campo, così come Bibby non può tenere (nessuno, ed in particolare) Nelson. Chiavi della gara: le lune degli esterni degli Hawks e i falli di Howard. E se passassero i Bucks? beh, avrebbero compiuto un miracolo al primo turno, perché non farne un altro al secondo...

Los Angeles Lakers - Utah Jazz
Serie che ha del surreale. I Lakers sono una testa di serie n°1 che da mesi convince poco. Vittime degli infortuni di Bynum, di una panchina corta che va accorciandosi e dello stato di forma che ha fatto di Kobe un umano, sempre fortissimo, ma umano. I Lakers sono stati messi in grande difficoltà dai Thunder, molto più di quanto sarebbe lecito aspettarsi da un testa-coda, anche se ai playoff, ed ora si trovano davanti i Jazz, mutilati, con un pilone ex-sovietico a fare da starter ed una cooperativa a coprire il ruolo di ala piccola. Strano che siano là, ma Sloan ha surclassato Dantley (quasi esautorato durante la serie) e i Nuggets sono implosi. Onore e merito ai Jazz.
In un mondo ideale questa sarebbe la premessa per un pronostico a senso unico, con i primi, seppur non al meglio, troppo più forti degli sfidanti. Eppure il Deron Williams di questo momento rappresenta un'incognita molto grande, di sicuro troppo per Derek Fisher. Bisogna vedere quanto grande per Phil Jackson.


I Jazz sono composti da 3 o 4 giocatori (il suddetto Deron, l'alfiere attento al soldo Boozer, l'idolo Milsap ed il rookie Wes Matthews) e un gruppo di comparse. Troppo poco per passare il turno, ma abbastanza per strappare a questi Lakers un paio di partite a Salt Lake City e far sudare di nuovo i campioni in carica. Tutto dipende dalla difesa su Bryant e da dove va Odom. Lakers in 6.

San Antonio Spurs - Phoenix Suns
Questi Spurs fanno paura. Vecchi, logori, ma sempre gli Spurs. "Ancora tu/Ma non dovevamo vederci più", cantava Battisti. Una serie che non può non far tornare indietro di qualche anno, con tantissimi episodi che andando, in un modo o nell'altro, tutti nella stessa direzione hanno fatto degli Spurs una dinastia e privato Steve Nash e Amar'e Stoudamire di un meritato anello.

Seguendo percorsi diversi - tortuoso quello dei soli dell'Arizona, meno quello degli Speroni - le due squadre si trovano di fronte, forse per l'ultima volta ad alto livello nei playoff.
Come al solito, vediamo che è successo in stagione regolare: 3 partite ad alto punteggio, 2 successi dei Suns - bravi a tenere bassa la percentuale sul perimetro degli avversari - uno per San Antonio. Gli Spurs difendono molto bene sul perimetro e vicino al canestro, un po' meno bene tra i 4 ed i 6 metri: dalla loro c'è che possono giocare a qualsiasi ritmo.
Ginobili, con tutto il naso rotto, sta dominando: toccherà a Grant Hill occuparsene? E dell'altro Hill? Ah, dimenticavo Tony Parker. I Suns stanno partendo in quintetto con Collins, probabilmente troppo poco per gli Spurs, che oppongono sì il vecchio Totò McDyess, ma in stato di grazia contro i Mavs. Per i Suns diventano quindi necessarie: 1) una serie monstre di Nash, 2) una serie monstre di Stat, possibilmente anche in difesa 3) una difesa tale che non siano più di 2 gli Spurs a ventelleggiare (dei 4 o 5 papabili tutte le sere). Francamente mi sembra un po' troppo. Spurs in 5.