venerdì 14 gennaio 2011

Le espressioni abusate: il lungo atipico

Oggigiorno chi segue la pallacanestro americana è abituato a sentirsi ripetere alcune espressioni che, trovando terreno fertile su presunta veridicità, o semplicemente su una moda, sono diventate comunemente accettate.
Non è il basket dei nostri padri, ad esempio, quante volte l'avremo sentito dire, anche dai più bravi telecronisti, con riferimento agli stranieri che spiegano il gioco agli americani, ai giocatori che si mettono d'accordo per fare la squadra, come al campetto, e così via. Questa espressione, forse quella che implica il maggior numero di conseguenze, per me indica solo (con inutile stupore) che questo non è IL MONDO dei nostri padri e quello che accade sui rettangoli di gioco non può esserne che un riflesso.




E' anacronistico perciò meravigliarsi dell'abilità degli argentini, dei playmaker che non fanno i playmaker e soprattutto dei lunghi che tirano da 3, definendoli atipici.
Arriviamo così al punto centrale della vicenda. Chi è il lungo tipico?
Dwight Howard? Andrew Bogut? Ma non si dice che "i centri puri non esistono più"? A rigor di logica, quindi i centri sono come dei panda, in via d'estinzione, circondati da una fauna di lunghi atipici. Se però l'atipico diventa la norma, è chiaro che l'atipicità viene meno.




Per poter parlare di qualcosa, occorre innanzitutto definirlo. Lungo è..chi è lungo? Allora Durant è un lungo? Gallinari stesso, è un lungo?Teoricamente sì, perché sfiorano i 210 cm, più di tanti numeri 4 e 5 che hanno fatto la storia dello sport. Tecnicamente no, perché è evidente che queste siano guardie. Come loro, ad esempio, DerMarr Johnson e Keith Brumbagh, anche se evidentemente più pippe. DaJuan Blair sarebbe un lungo? Lungo invece, di ruolo e di fatto, è Matt Bonner, che però non mette piede in area manco per sbaglio ed è uno dei migliori tiratori da 3 della Nba (seppur con una meccanica non proprio perfetta). Matt Bonner viene spesso definito atipico, così come sarebbe atipico Nowitzki, o il nostro Bargnani. E Magic Johnson cosa era?
Kevin Love è di gran lunga il miglior rimbalzista del circo, ma tira da 3 col 45% e passa la palla meglio di molti playmaker. Brad Miller è un regista, punto, come prima di lui Vlade Divac e Arvydas Sabonis.

Racconta Sergio Tavcar, nel suo libro "La Jugoslavia, il basket e un telecronista", che negli anni '60 in Jugoslavia il basket era uno sport per "piccoli" ed essere "lungo", ossia lenti, impacciati e senza tiro veniva considerato dal pubblico come un peccato, espiabile solo mediante insulti perenni. Per questo motivo i lunghi erano costretti ad imparare a giocare da esterni. Certa storiografia Nba vuole invece che, finita l'era degli Olajuwon, dei Robinson, degli Ewing, non rimanesse nessuno a contrastare Shaq; non potendo spegnere il Diesel, si è pensato di sconfiggerlo allontanando i suoi sfidanti dal canestro, cercando di allontanare anche lui.


Alzi la mano chi è d'accordo.



Io solo parzialmente, credo sia una spiegazione un po' semplicistica, che non tiene conto del fatto che, ad esempio, tra Shaq e Howard, così come tra MJ e Kobe ci siano più o meno 15 anni di differenza. Però, è vero che alla base di questa "jugoslavizzazione" del basket americano vi sia la continua ricerca del mismatch, che però include tutti i ruoli: quanto può far comodo un playmaker in grado di portare gli avversari, più piccoli di lui, vicino al canestro, per batterli in post?
Nel panorama attuale, Dwight Howard è atipicamente più forte fisicamente degli avversari, pur essendo considerato un centro puro. Yao aveva una mano atipicamente morbida per un giocatore di 2,30, pur essendo considerato un centro puro. E così via: in uno scenario dove è spesso la ricerca del "diverso" la chiave del successo, l'unica cosa atipica è che si vinca ancora segnandone uno in più dell'avversario.

1 commento:

Pierrì ha detto...

L'idolo DerMarr, KD e il Gallo sono "corti atipici".