sabato 28 maggio 2011

And the winner is...

Non di certo una finale prevista in sede di bracketing, ma una bella serie. Una serie piena di significati, da qualsiasi parte la si veda. Squadra contro somma di individui. Attacco contro difesa. Ma anche la rivincita di una delle serie più discusse degli ultimi 10 anni. E da questo punto di vista, gli occhi saranno puntati tutti sugli arbitri, perché di catalizzatori di falli (e non mi riferisco ad eventuali star del porno) stavolta ce n'è più d'uno.

C'è però un aspetto che accomuna le due squadre arrivate sin qua: le motivazioni extra dei loro leader, fuoriclasse assoluti, dominatori assoluti dell'ultimo decennio che, paradossalmente, hanno ancora tutto da dimostrare. Le etichette su di loro si sono sprecate. Soft, perdente, uomo che fugge davanti alle difficoltà (sinteticamente quitter), traditore, senzapalle. Gli Spurs, gli Heat, i Warriors ed una certa mentalità che snobba chi non si atteggia a Maschio Alfa da una parte; i Celtics, i Magic e la comunità cestistica mondiale dall'altra, riunitasi attorno ai cittadini di Cleveland, dall'altra. I fantasmi di Tim Duncan e Larry Bird, quelli di Micheal Jordan e Kobe Bryant. Modelli, chimere, asintoti: un obiettivo non raggiunto diventa un fardello da portarsi dietro mentre si punta al successivo.
I nostri protagonisti, di sassi nelle scarpe, di foto appese allo specchio ne hanno a bizzeffe. Chi vincerà? Quello per cui i sassi nelle scarpe potranno essere solo una motivazione e non un peso. Quello che, nonostante le foto appese allo specchio, avrà ancora modo di guardarsi negli occhi.

venerdì 27 maggio 2011

I compiti per le vacanze

Chicago e Oklahoma City sono due squadre giovani e rampanti. Le loro repentine eliminazioni in Finale di Conference, entrambe per 4-1, non devono però nascondere l'ottima stagione disputata. Il rischio, insomma, è quello di buttare il bambino con l'acqua sporca, invece di procedere nella graduale crescita delle società e delle squadre, passando in primis per i loro leader.
Come evidenziato più volte da We Got Game, è impensabile aspirare al titolo senza essere prima passati per cocenti delusioni. Aiutano a crescere, ad aumentare la voglia di vincere. In questo senso, le reazioni di Rose ("I was just making dumb decisions, and it cost us the game") e soprattutto di Durant, molto poco contento del fatto che fosse Nowitzki a giocare per l'anello, fanno ben sperare. I due hanno talento, hanno voglia di vincere, e possiamo scommettere che tra un paio di giorni saranno già in palestra.
Dalla loro crescita passa infatti il futuro di due franchigie che potrebbero trovarsi a dominare, Heat permettendo, la NBA del prossimo decennio.
Trì is megl che uàn
Rose ha giocato dei playoff sotto il par di una meravigliosa regular season coronata dall'MVP: aumentato il numero delle conclusioni, sono drasticamente crollate le percentuali, soffocate dalla difesa di Miami che lo ha spinto ad incrementare la quantità di tiri dall'arco: 35% dal campo e 23% dall'arco nella serie, oltre ad alcune scelte errate nei finali che hanno pesato in maniera considerevole sul risultato finale.

Particolare il discorso di Durant, che ha avuto numeri di tutto rispetto (quasi 10 rimbalzi di media, tra l'altro), ma, oltre a mostrare un crollo nelle soluzioni da 3 (23% contro il 35% della RS) ha avuto un impatto molto meno evidente di quanto dimostrato dalle cifre. Dell'apporto della squadra ne parliamo dopo, ma l'impressione è che in parte sia stato, nei momenti decisivi, estromesso dal gioco; dall'altra parte, però, si è di fatto estromesso in prima persona, svanendo quando contava e soffrendo la marcatura di un giocatore come Marion, autore di una grandiosa serie e in grado tanto di contenerlo in velocità quanto di riempirlo di botte all'occorrenza.

Limiti di leader, quindi, ma anche limiti delle squadre.
Troppo facile dire che il problema dei Bulls è stato in attacco. Come ho letto da qualche parte su Twitter, metti un Harden nel motore di Chicago e stavamo parlando almeno di una gara-6. La mancanza di pericolosità dal perimetro e di lucidità nelle letture ha portato ad un'area intasata che ha fatto soffrire più di quanto già non dovessero farlo Noah e Boozer. Quest'ultimo ha confermato le perplessità sul suo conto quando si tratta di fare sul serio. Bosh, che notoriamente non è considerato un cuor di leone (ma con quei due là affianco la situazione cambia...), lo ha fatto a pezzi. Probabilmente è giunto il momento per i Bulls di andare un po' sopra il cap... se davvero si vuole insistere con Bogans (ma perché?) serve un cambio per Rose che sia in grado di giocare con lui. E sottocanestro? Questo è un problema. Boozer non lo smuovi, Noah nonostante i suoi limiti offensivi è fondamentale, Asik sta emergendo prepontemente. Gibson è in crescita ma potrebbe essere lui l'asset per puntare a qualcosa di più adatto alle circostanze.

KD a terra, passano i Mavs
Il discorso per i Thunder non è poi così differente. Resto convinto della bontà della trade Perkins, anche se la mia idea è che il sistema di Boston lo abbia fatto sopravvalutare come difensore: al momento dello scambio sembrava stessimo parlando della reincarnazione di Bill Russell. In realtà, la bontà della trade si è verificata già nella soffertissima serie contro i Grizzlies, quando Ibaka ha potuto dimostrare tutto il suo campionario di veloci pallavolistiche agendo in aiuto. Immaginarsi il congolese e Collison a fronteggiare da soli Zach Randolph e Marc Gasol mi risulta complicato. Ma la coperta è corta, e allora Perkins ti dà qualcosa in difesa, ma ti leva tantissimo in attacco. Nella serie contro i Grizzlies Gasol lo lasciava costantemente abbandonato nella sua personale valle di lacrime per andare a raddoppiare Durant. Nella serie contro i Mavs è stato praticamente nullo, vista anche la necessità di dare minuti a Collison, decisamente più adeguato in marcatura sul tedesco e in grado di portare qualche punto con jumper e azioni sulla linea di fondo.
La contemporanea presenza di Perk e Sefolosha nello starting five ha fatto molto discutere, per quanto Ibaka abbia ormai un jumper rispettabilissimo, tanto che si era parlato della possibile promozione di Harden in quintetto. Il problema è che il Barba è determinante nel gioco delle panchine, e allora torniamo alla coperta corta di cui parlavamo prima.
A Presti toccherà trovare le contromisure. La promozione in quintetto di Harden può essere una soluzione per il prossimo anno, relegando Thabo a uomo da missioni impossibili (quindi non la marcatura su Stevenson). Ma a quel punto sarà necessario trovare qualcuno in grado di dare la scossa dalla panchina.

lunedì 23 maggio 2011

A tiepido su OKC - Dallas (prima del 2-2)

Per lunghi tratti di gara 3, così come in gara 1, Nowitzki e Durant sembravano legati da uno strano incantesimo: segnava uno, segnava l'altro, sbagliava uno, sbagliava l'altro. E non so quanto possano ulteriormente alzare il loro livello di gioco, almeno rispetto alle meravigliose prestazioni individuali della prima gara. E allora che succede?
Due squadre con opposte filosofie di gioco in una serie equilibrata. Per me Nowitzki e Durant faranno il volume, ma la differenza tra le due squadre è quella del supporting cast: Westbrook ago della bilancia, ma forse non ancora pronto.

lunedì 16 maggio 2011

Elvis is (not) dead



Il fatto che a pochi minuti dall'eliminazione dei Memphis Grizzlies si stia già pensando a cosa rimarrà di questa stagione può essere considerato come un fatto positivo. C'è infatti da comprendere se quella appena conclusa è "una di quelle stagioni" o se può rappresentare il punto di partenza per qualcosa di importante. La tenera età di questi Grizzlies farebbe pendere la bilancia verso la seconda ipotesi. Oltre alla chioccia Battier, imprescindibile ed in scadenza di contratto, Memphis si ritrova con una squadra giovane e talentuosa, che gioca un bel basket, difendendo in maniera ruvida e usando in attacco raramente il tiro da fuori.
Una stagione sviluppatasi in maniera particolare: i Grizzlies attuali sono frutto di una particolare combinazione di eventi, che li ha portati a cedere il loro giocatore-franchigia per un pacchetto di fuffa nel quale si sono ritrovati un panchinaro del Barcellona diventato uno dei migliori centri della lega. C'è la trasformazione di Randolph da caso umano a lungo dominante. C'è la cessione di Mayo, saltata all'ultimo secondo, che li avrebbe privati di un giocatore diventato insostituibile sia per il suo apporto per entrambi i lati del campo che per la sua capacità di cambiare le partite. C'è l'infortunio di Gay. C'è in tutto questo anche la scelta clamorosamente fallata di Thabeet.
Rinnovato Randolph, in attesa del ritorno di Gay, appare evidente che la questione più scottante per Chris Wallace sarà il rinnovo di Gasol e in seconda battuta dell'idolo delle folle Battier (come definire uno che cita su tweeter Il Grande Lebowski ed Animal House?). Per il resto, al di là dei big, c'è tutta una serie di ragazzoni da far crescere...

martedì 10 maggio 2011

The day after the day after


Neanche tre settimane fa, in seguito all'eroica rimonta firmata da Brandon Roy, scrivevo queste parole.
Oggi, a sei gare (e sei vittorie di distanza), le cose sembrano un po' diverse.
Nonostante i Lakers sembrassero in crisi, non sono mai stato sicuro della possibilità di passare il turno. Qualcuno mi ha detto che lo facevo per scaramanzia, ma non era così. La scaramanzia mi ha portato a non vedere né seguire in alcun modo la diretta di gara-4, questo sì. E se voi mi darete del folle io vi rispondo che ho sofferto come un matto, ma purtroppo ne è valsa la pena. Ossimoro? Certo.
In realtà le esperienze passate mi hanno insegnato a non dare mai vinta una serie, quando ci sono i Mavs in campo. Neanche sul 3-0? No, neanche sul 3-0, perché solo i tifosi Mavs possono ricordare il panico di una gara-7 fortunatamente vinta dopo essersi fatti rimontare dai Jail Blazers tre vittorie di vantaggio.

E' ovvio che ora si parli tanto dei Lakers. Il loro crollo è stato fragoroso, uno sweep da bi-campioni in carica, con un blowout da record, nell'ultima partita della gloriosa carriera di Coach Zen. Davanti al quale mi levo il cappello, nella speranza che trovi un po' di tempo per qualche nuova produzione letteraria.
Merito dei Mavericks o colpa dei Lakers? Entrambe le cose.
Difficile sottrarre qualcuno dal banco degli imputati in casa gialloviola. Se in fase di presentazione della stagione mi ero permesso di parlare di mercato perfetto, prendendo un colossale granchio, la panchina Lakers ha invece mostrato tutte le sue lacune, venendo massacrata da quella di Dallas nonostante la generosità di Odom. Se Bynum ha giocato una buona serie, durante la quale ha avuto momenti in cui ha dimostrato di poter essere un giocatore su cui poter contare in futuro, è anche vero che la sua chiusura di stagione è stata la peggiore che si potesse immaginare.


Artest? Non ne parliamo. Gasol? Roba da psicanalisi, anche se al di là dei possibili limiti mentali (tutti da dimostrare: un anno fa chiudeva la trionfale cavalcata gialloviola con una gara-6 da tripla doppia sfiorata per un assist mancante e una gara-7 da 19+18 mentre Bryant sparacchiava) a me è sembrato proprio sulle gambe.
Mi aspettavo di più da Kobe, attendevo una sua reazione di orgoglio. Probabilmente non è più in grado di vincere una partita da solo, ma mi aspettavo perlomeno un tentativo. Un momento di dominio (e predominio) offensivo. Per suonare la carica o, almeno, per far vedere che almeno lui non ci stava, non si arrendeva. Non ho visto nulla di tutto questo. Ho visto un Kobe scarico, che continuava ad eseguire il compitino e in diversi casi lo faceva anche male: pessimo (come tutti i Lakers, ma ne parliamo dopo) in difesa, nonostante gli sia appena arrivato il riconoscimento dell'ennesimo primo quintetto difensivo (con LeBron e Rondo. sic.), ma anche dallo scarso impatto in attacco, dove ha continuato ad accontentarsi dei jumper nonostante Stevenson sembrasse tutt'altro che perfetto in copertura su di lui, e ad andare in post quando marcato da Kidd. Come se portare in post Kidd fosse una buona idea.

Se mi aspettavo di più da lui, mi aspettavo anche molto di più da coach Jackson, che non è riuscito a predisporre adattamenti efficaci. Senza soffermarci sull'attacco (la Triangle Post Offense dov'è?), guardiamo la difesa. Per tutta la serie è bastato fare un pick and roll a 8 metri dal canestro (di Barea, non di Chris Paul) per mandare la difesa gialloviola in bambola. Insistere sulla single coverage di Gasol su Nowitzki è stata una follia: il crucco nelle prime tre gare ha preso fuoco sin dal primo quarto. Quando arrivavano gli aggiustamenti nel corso del match (la marcatura di Odom, i raddoppi) era ormai troppo tardi, anche perché Nowitzki è diventato un signor passatore, in grado di trovare sempre l'uomo libero.
A questo punto le rotazioni dei Lakers dimostravano tutta la loro inefficacia: ho perso il conto dei tiri presi dai Mavs con CHILOMETRI di spazio. Quando non c'era tutto questo spazio, i difensori dei gialloviola erano comunque in ritardo, e bastava fingere il tiro da 3, saltare l'uomo che arrivava disperatamente, fare un comodo passettino e infilare il jumper da 2. Ed è sempre bello vedere come queste considerazioni siano state scritte in maniera decisamente migliore da siti americani molto più validi di quest'umile blog.

E qui arriviamo ai meriti dei Mavs, perché se avete visto con attenzione il post linkato avete notato come si possa dominare una gara senza essere cavalcati ossessivamente in attacco. Ed è quello che i Mavericks e Nowitzki hanno fatto in questa serie: si sono passati la palla, sempre alla ricerca dell'uomo libero e del tiro migliore. Hanno saputo chiudere le partite nei momenti in cui queste andavano vinte, grazie alle prestazioni clutch di Nowitzki e di Terry. E persino di Barea e - udite udite - Stojakovic. Non hanno avuto passaggi a vuoto, a parte il parziale in gara-1 che li aveva portati sotto di 16. Hanno scommesso sui limiti dei Lakers nel tiro da fuori e hanno avuto ragione. Hanno subito 88 punti di media nella serie da una squadra che in stagione regolare ne faceva 101.

Diversamente da Dis/Impegno, non sono così sicuro sia la fine di questi Lakers. Certo, questo gruppo è finito.  Ma la base per ripartire c'è, anche senza Jackson. Probabilmente sarà un'estate più movimentata del solito in casa L.A., ma non credo che vogliano lasciarsi andare a ricostruzioni con un Bryant che ha comunque ancora un paio di stada dare.
E i Mavs? Cosa faranno ora è un'incognita, magari si sono giocate tutte le cartucce in questa serie. Magari no. Ma d'altronde ho rinunciato a capire questa squadra. E' proprio per questo che, nonostante tutto, la amo.

lunedì 9 maggio 2011

La fine

Lo sweep per il coach più vincente. La normalità per il giocatore al di sopra degli altri. L'impalpabilità per il fuoriclasse che da sempre lotta contro l'accusa di mollezza e per il veterano col vizio del canestro decisivo. Il ritorno alla follia per quello che prova ad esser come gli altri, dopo aver provato a menare un intero palazzetto. La dimostrazione di immaturità per l'eterno bambino. La fine di questi Lakers rigetta ombre che ormai sarebbero dovuto essere fugate su carriere spese a lavare macchie. Ma quello che la serie con Dallas potrebbe aver decretato è anche la fine di una certezza: per la prima volta, Kobe non trasmetteva la sensazione di poterla risolvere ad ogni azione. Non trasudava sicumera. Non era una spanna sopra gli altri. L'anticipo era arrivato in gara 7 delle scorse Finals, risolta da Gasol e RonRon. La certezza che mi abbandona è quella del Kobe Bryant decisivo, per forza, nell'arco di una intera serie. E non è solo perché i Mavs hanno crivellato la retina, ma perché neanche lui ha mai dato l'impressione di poterlo evitare.


La vittoria di Dallas è infatti arrivata in maniera così semplice da sembrare scontata, inevitabile, necessaria. Jackson le ha provate tutte, andando contro non solo il suo credo cestistico, ma se stesso. Inutilmente. Perché il vero carnefice dei Lakers non sono stati i miliardi di Cuban, i crauti di Nowitzki, le visioni di Kidd, le zingarate di Barea, le triple di Terry e Stojakovic, la difesa di Chandler, non le scelte difensive di Carlisle, ma il tempo. Semplicemente, inesorabilmente, il tempo.
Quello che Bryant ha passato a giocare nonostante infortuni, sempre al limite. Quello che Phil Jackson ha provato ad ingannare, concedendosi un anno in più. E' arrivato il conto, in anticipo rispetto al previsto, in ritardo rispetto al dovuto.
E' finito il tempo di Kobe sopra tutti, probabilmente è finito il tempo di Fisher, se le voci hanno un minimo di credibilità anche quello di Gasol ai Lakers. Il meno indenne al tempo poteva essere Bynum, il più giovane di tutti, nonostante il buon lavoro di Chandler e le parole di Magic, che lo vorrebbe sacrificato per arrivare a Dwight Howard. Anzi, era del tutto indenne fino alla sua insensata espulsione, quando il "bambinone" ha deciso di dimostrare che col tempo (e la maturità), a differenza degli altri, è ancora in credito. Per Bynum questa fine potrebbe comunque essere un inizio, con un nuovo ruolo ai Lakers o presso altri lidi.

Phil Jackson ha vinto tanto, avendo a disposizione, di volta in volta, il giocatore più forte supportato dai più forti. Il tempo ha dimostrato che queste condizioni, oggi, non c'erano. E Phil Jackson non ha potuto fare altro che guardare un intero secondo tempo di garbage time.
La fine di un'era ha riportato i suoi protagonisti alle pendici del monte per la cui scalata c'erano voluti 5 anni. Quelli della ricostruzione. E pressoché certo che altri 5 anni, Jackson, Bryant e soci non li abbiano. E la domanda che questi Lakers ci lasciano è, quante dimostrazioni e quante smentite servono per "pesare" una carriera?

venerdì 6 maggio 2011

The Decision 2.0

Va assolutamente condivisa.
In questa riedizione di Space Jam, LeBron prende la sua Decision, abbandonando i Looney Tunes.