sabato 30 aprile 2011

Corsi e ricorsi



Quando Gregg Popovich criticò la trade che portò Pau Gasol a Memphis, sapeva perfettamente che il lungo catalano avrebbe significato un grande ostacolo per le ambizioni da titolo degli Spurs.
What they did in Memphis is beyond comprehension,” said Popovich. “There should be a trade committee that can scratch all trades that make no sense. I just wish I had been on a trade committee that oversees NBA trades. I’d like to elect myself to that committee. I would have voted no to the L.A. trade.”
Quello che (lui e così noi e così tanti altri) non avrebbe mai immaginato è che la stessa trade avrebbe costituito la probabile fine della dinastia Spurs su due fronti completamente opposti. Quello dei Lakers, assodato. Ma quello dei Grizzlies giunge assolutamente inaspettato. E invece la chiave dell'eliminazione degli Spurs parte proprio da quella trade, che ha portato a Memphis quello che fino a quest'anno era semplicemente considerato come il fratello minore di Gasol (con la speranza che dopo una serie di questo tipo possa essere valutato per quello che è veramente, ossia un signor giocatore) e tanto spazio salariale, utilizzato per creare quella squadra che ha battuto gli Spurs, nonostante l'assenza di Rudy Gay.
E invece Memphis si è affidata a quella che potrebbe essere la più bella storia di questa postseason. A un lungo che ha sempre dimostrato di avere grande talento ma che finora era noto soprattutto per le sue bizze e per il suo peso. Ex Jail Blazers, ex Knicks versione Isiah, ex Clippers, risse, droga: un curriculum non proprio immacolato. E invece Zach Randolph ha banchettato sui lunghi Spurs, dimostrando per la prima volta di avere non solo talento, ma anche leadership e carisma. E, soprattutto, una freddezza nel crunch time che si è palesata più volte nella serie, dalla tripla di gara-3 (l'unica nella sua carriera ai playoff) ai canestri e ai liberi di gara-5, alle azioni che hanno sbarrato la strada all'ultimo tentativo degli Spurs di salvare capra e cavoli: 14 punti nell'ultimo quarto.


Dimostrando, allo stesso tempo e grazie anche ai puntuali tagli dei suoi compagni, di avere un'inaspettata capacità come passatore dal post (6 assist in gara-5, contro gli Hornets e i Sixers in regular season anche 7).


E nella decisiva gara-6, 31 punti di potenza, tecnica e rapidità, conditi da 11 rimbalzi. Guardate che botte che gli dava l'eroico e commovente Totò McDyess.


La grande serie di Randolph non deve però oscurare quanto di grande hanno fatto tutti i Grizzlies, coach Hollins in primis, che è stato in grado di trovare i giusti equilibri: dalla crescita di Darrell Arthur e Mike Conley (ora son tutti sorpresi, ma a Ohio State le premesse erano buone) all'esplosione di Sam Young in contumacia-Gay, alla gestione di OJ Mayo come sesto uomo, al contributo di due gregari eccellenti come Tony Allen e Battier. Tutto era apparecchiato per la prima vittoria nella storia della postseason della franchigia. Certo, da qui a vederli in semifinale di conference ce ne voleva...

Passiamo agli sconfitti. Quando un'immagine parla più di mille parole.


La sconfitta degli Spurs è la sconfitta di Tim Duncan. Nonostante una regular season giocata a marce ridotte, il caraibico ha tristemente mostrato i limiti anagrafici. 12 punti e 10 rimbalzi di media con il 47% dal campo non sono le medie di Duncan. Il 5/13 dal campo in una elimination game non è da Duncan. Il rimbalzo offensivo regalato a Randolph al decimo secondo del video più sopra non è da Duncan.
In realtà, io credo che un'ultima chance gli Spurs potrebbero averla se, come pare, la prossima sarà una stagione corta. Ma ci sarà da muoversi durante l'estate.

Per inciso, la trade-Gasol resta una porcheria :D

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